Cos’è e chi detiene il debito pubblico italiano (dati aggiornati)

Prima di vedere i dati aggiornati riguardanti i detentori del debito pubblico italiano, analizziamo cos’è il debito pubblico degli stati e come funziona.
Per semplificare potrebbe essere paragonato ad un prestito richiesto da un individuo in modo da ottenere la liquidità necessaria (che in quel momento non ha a disposizione) per spese correnti o impreviste.
Ovviamente ogni prestito prevede la restituzione del capitale + gli interessi entro un lasso di tempo concordato, per questo l’emittente controlla la solvibilità del richiedente prima di erogarlo.
Per uno stato il concetto è analogo anche se il mercato del debito pubblico è differente rispetto a quello delle persone fisiche, quindi vediamo perchè si forma il debito e come funziona.

COME FUNZIONANO GLI STATI
Per gestire la spesa pubblica (pensioni, scuole, stipendi pubblici, infrastrutture, ecc) ogni stato ha 3 possibilità e un principio che dovrebbe sempre seguire per tenere i conti in ordine (ultimo punto):

  • tassazione
  • indebitamento
  • creazione di nuova moneta da utilizzare per la spesa corrente usando la banca centrale
  • limitare i 3 punti precedenti tagliando la spesa pubblica improduttiva (generalmente elargita ad alcune classi sociali a scopi elettorali), mantenendo in essere la sola spesa per investimenti che porta a crescita futura.

Ammettiamo che stia nascendo un nuovo stato, nell’anno 0 la banca centrale provvederà ad introdurre nel sistema un quantitativo di moneta allineato ai beni e servizi disponibili nel sistema stesso, per dare stabilità alla valuta che sarà scambiata con le altre sul mercato globale dei cambi (forex).
Successivamente lo stato, per gestire la spesa pubblica, non può utilizzare direttamente la creazione di moneta tramite la banca centrale, per gli squilibri che questo tipo di politica monetaria porta sull’aumento dei prezzi (cioè inflazione e relativa svalutazione dei risparmi dei cittadini), quindi può provvedere ad utilizzare tassazione o debito pubblico.
Tuttavia in momenti di forte recessione (dove il rischio inflazione è basso) la banca centrale può creare nuova moneta per supportare il debito pubblico del paese sui mercati, attività svolta ormai da oltre un decennio da tutte le banche centrali più influenti del mondo tramite il quantitative easing (approfondisci), però la nuova moneta creata deve essere limitata ed allineata alla politica delle altre banche centrali e non può essere infinita onde evitare problemi di inflazione (vedi approfondimento).
In conclusione, tralasciando brevi periodi dove è possibile prevedere la creazione di nuova moneta, per evitare squilibri nella gestione standard della politica economica uno stato ha a disposizione solo tassazione e creazione di nuovo debito (che deve essere sostenibile come vedremo a breve) per la gestione della spesa pubblica.

Tornando al nostro stato appena nato, nell’anno zero il debito è ovviamente nullo.
Ammettiamo che la spesa pubblica per il primo anno sia 100 e il governo decide di recuperare tutto tramite tassazione: per il primo anno quindi lo stato è in pareggio di bilancio e non è necessario ricorrere all’indebitamento (incasso da tassazione 100, spesa 100 –> 100-100=0 pareggio di bilancio senza debito).
Per il secondo anno la spesa pubblica dello stato passa a 120 ma il governo ritiene che aumentare la tassazione possa portare a recessione quindi limita le entrate a 100 come per l’anno precedente. In questa situazione il bilancio è in deficit (tassazione 100, spesa 120 –> 100-120=-20 deficit) e per coprire il disavanzo lo stato deve ricorrere all’indebitamento di 20, recuperando denaro sul mercato pagando degli interessi (a breve vedremo come funziona).
Questa modalità (a differenza della creazione di moneta) consente di non aumentare la massa monetaria in circolazione e a mantenere stabili i prezzi, cioè tutela i risparmi mantenendo bassa l’inflazione.
Il terzo anno la spesa pubblica passa a 150 ma il governo mantiene sempre la tassazione a 100, quindi il deficit annuale è di 50 (150-100) da recuperare tramite indebitamento sul mercato.
In questa situazione, se consideriamo l’indebitamento totale si arriva a 70 (50 dell’anno corrente + 20 dell’anno precedente).

Da questo esempio si evince perchè il debito degli stati storicamente aumenta quasi sempre e perchè considerare il solo parametro del debito non è significativo se non lo si lega alla crescita del PIL.
Infatti l’aumento costante del debito non è un problema se ad esso si accompagna un adeguato aumento del PIL perchè significa che il debito è utilizzato per investimenti e crescita, quindi è sostenibile; se invece alla crescita del debito non corrisponde un’adeguata crescita del PIL significa che il paese sta spendendo in modo improduttivo e questo rende complesso un ulteriore finanziamento sul mercato che potrebbe ritenere tale debito non sostenibile.

Tornando all’esempio del prestito: se una persona lo richiede ed ha una professione che garantisce introiti stabili, l’ente lo eroga senza particolari problemi, avendo la ragionevole certezza di poter recuperare il capitale iniziale con gli interessi; viceversa se si richiede un prestito senza garanzie per sperperare denaro, è praticamente impossibile che un ente possa ottemperare alla nostra richiesta perchè sarebbe quasi impossibile riuscire a recuperare le somme prestate.
La stessa considerazione può essere fatta per gli stati, un paese che si indebita per spesa corrente improduttiva senza creare crescita è difficile che riesca a finanziarsi sul mercato senza problemi perchè non troverebbe investitori disposti a rischiare il loro denaro per paura di non vederlo restituito, oppure potrebbe trovarli solo a fronte di un alto tasso di interesse da pagare (a maggiore rischio un investitore richiede maggiore rendimento).

PARAMETRO DEBITO / PIL

Per quanto detto in precedenza, se preso singolarmente il solo dato del debito di uno stato non è molto indicativo, per questo è necessario effettuare un’analisi del debito in rapporto al PIL (che rappresenta la crescita del paese).
Infatti se nel medio periodo il PIL di uno stato aumenta in linea con il debito, il paese in questione non avrebbe problemi a gestire l’aumento del debito stesso che sarebbe coperto dalla maggiore crescita; viceversa un maggiore debito per spesa improduttiva senza crescita non avrebbe copertura futura e lo stato andrebbe in crisi sul mercato del debito.
Matematicamente si tratta di una frazione (debito/PIL) calcolata in percentuale dove minore è la %, migliore è la situazione economica del paese; non esiste un limite massimo al rapporto stesso ma generalmente si fa un paragone tra i vari paesi e quelli non allineati generalmente hanno più problemi a finanziarsi sul mercato.

Facendo un esempio se nell’anno 1 il PIL di un paese è 100 e il debito è 80, il rapporto debito/PIL sarebbe 80/100=80%
Se nell’anno 2 il PIL passa a 110 e il debito a 88, il debito in valore assoluto è aumentato da 80 a 88 ma grazie all’aumento del PIL il rapporto debito/PIL sarebbe invariato 88/110=80%.
Quindi anche a fronte di un aumento del debito la situazione del paese è ottimale perchè tale debito ha contribuito alla crescita economica.
Viceversa se nell’anno 2 il PIL fosse passato a 105 e il debito a 88, la bassa crescita del PIL non sarebbe sufficiente a giustificare il debito contratto e il rapporto sarebbe 88/105=84% in peggioramento.
In definitiva, per mantenere un paese un equilibrio, i governi devono ottenere una crescita del PIL maggiore o almeno uguale alla crescita del debito nel medio periodo.

COS’E’ FINANZIARIAMENTE IL DEBITO PUBBLICO DEGLI STATI E CHI LO DETIENE

Chiunque (persone fisiche, banche, assicurazioni, fondi di investimento/pensione, ecc) può prestare denaro a buona parte degli stati mondiali in cambio di interessi tramite l’acquisto dei titoli di stato sui mercati, quindi i titoli di stato rappresentano il debito pubblico dei vari paesi (ovviamente acquistando titoli in valute diverse dall’euro ci si espone anche al rischio di cambio).
Quando uno stato ha necessità di denaro (per finanziare la spesa o per rifinanziare debito pregresso in scadenza, vedremo a breve cosa significa) effettua delle aste sul mercato primario dei titoli di stato, questi titoli possono essere acquistati da tutte le persone fisiche e giuridiche indicate in precedenza (quindi i soldi prestati agli stati sono i risparmi delle persone).
In pratica l’investitore presta denaro allo stato in cambio di interessi pagati dallo stato stesso a intervalli regolari, oltre alla restituzione del capitale iniziale a scadenza del prestito.
Esistono vari tipi di titoli di stato in base alla durata dell’investimento (mesi o anni) e alla tipologia di interessi pagati (fissi o variabili), ovviamente più è lunga la durata più i tassi sono elevati. I titoli di stato italiani più comuni sono: BTP e BOT ma esistono molte più variabili (vedi tipologie).
Una volta emessi i titoli di stato (cioè dopo che lo stato ha incassato il capitale necessario tramite il mercato primario), essi possono scambiati tra gli investitori sul mercato secondario (cioè in borsa, vedi titoli stato italiani quotati).
Quindi se un investitore ha acquistato un titolo di stato che scade tra 10 anni ma ha necessità di denaro, può rivenderlo in borsa ad un altro investitore ai prezzi di mercato (che possono essere maggiori o minori rispetto a quelli delle aste, portando quindi a profitti o perdite); solo mantenendo il titolo fino a scadenza si ha la certezza di ottenere la restituzione di tutto il capitale iniziale (salvo fallimenti), mentre vendendolo durante il periodo di vita in borsa si deve accettare il prezzo di mercato di quel preciso momento.
Detto questo possiamo dire che il mercato secondario è “trasparente” rispetto allo stato, il quale una volta emessi i titoli non restituirà più il denaro fino alla scadenza pattuita (durante la durata del finanziamento pagherà solo gli interessi); tuttavia i prezzi che si formano sul mercato secondario (dovuti all’andamento dei tassi di interessi e al rischio paese) impattano sugli interessi dei nuovi titoli che vengono emessi dallo stato sul mercato primario.

Vedi come funziona in dettaglio il mercato dei titoli di stato (clicca per approfondire)

Il problema principale si verifica quando il rapporto debito/PIL aumenta in modo smisurato, in questa situazione il mercato potrebbe ritenere che lo stato non sia in grado di ripagare a scadenza il debito contratto a causa della bassa crescita.
Quindi chi ha acquistato in precedenza un titolo di stato cercherà di rivenderlo sul mercato secondario ad altri investitori per paura che lo stato stesso non sia in grado di ripagare l’investimento iniziale; in questa situazione però ci sono pochi compratori sul mercato e molti venditori ed è molto probabile che la vendita del titolo avvenga ad un prezzo molto più basso rispetto all’investimento iniziale, facendo registrare una forte perdita all’investitore.
Inoltre, come abbiamo già detto in precedenza, quando in borsa diminuisce il prezzo dei titoli, aumentano i tassi di interesse (perchè gli interessi sono decorrelati rispetto al prezzo) e questo influisce sui tassi di interesse che lo stato dovrà pagare durante le nuove emissioni sul mercato primario, creando un circolo vizioso che può portare al fallimento dello stato stesso, il quale non riuscirebbe più a finanziarsi sui mercati (per questo è fondamentale l’intervento della BCE che creando nuova moneta acquista il debito in crisi sul mercato, pratica che però sta portando a una nuova tipologia di inflazione: approfondisci).
Questi casi limite (come stava succedendo in europa alcuni anni fa vedi approfondimento) sono però limitati, generalmente chi acquista un titolo di stato e lo mantiene fino a scadenza ottiene la restituzione del capitale iniziale + gli interessi.
Detto questo è però fondamentale ricordare che se uno stato non ha i conti in ordine un fallimento è possibile e in questo caso l’investitore potrebbe perdere tutto o parte del capitale prestato allo stato stesso.

RIFINANZIAMENTO DEL DEBITO
In realtà buona parte del nuovo debito contratto dagli stati viene utilizzato per ripagare il debito pregresso in scadenza e gli interessi, in pratica quando alcuni titoli emessi in precedenza si trovano in prossimità della scadenza (cioè della restituzione del capitale agli investitori), gli stati emettono nuovi titoli e utilizzano il nuovo capitale recuperato sul mercato per la restituzione agli investitori con titoli in scadenza.

CANCELLAZIONE DEL DEBITO
Come abbiamo visto in precedenza, il debito pubblico è finanziato sia dal risparmio privato esistente, sia dagli acquisti effettuati dalla BCE che crea nuova moneta tramite il QE. Detto questo quando si sente parlare di cancellazione del debito ovviamente ci si limita a considerare il debito detenuto dalla BCE e non dagli investitori privati, visto che in caso di non restituzione dei debiti degli stati agli investitori, significherebbe non restituire i risparmi ai privati cittadini. Per quanto riguarda la BCE invece si tratta di un ente pubblico che potrebbe annullare il debito senza ripercussioni di questo tipo, tuttavia annullare il debito acquistato dalla BCE significa lasciare tutta l’attuale mole di moneta creta sul mercato, senza possibilità di recupero da parte della banca centrale stessa perchè non essendo più presenti i titoli, gli stati non sarebbero più costretti a restituire la liquidità tramite il rimborso del debito; questo farebbe si calare il debito (cosa poco utile perchè sarebbe solo la quota parte già in pancia alla BCE e quindi che non si trova sul mercato) ma di contro farebbe perdere il controllo sulla massa monetaria in circolazione e in caso di ritorno dell’inflazione, questa potrebbe colpire pesantemente i risparmi.

RECOVERY FUND
Una ulteriore differenza è data dai titoli del recovery fund che saranno utilizzati per finanziare gli stati. Fino ad ora i titoli di debito erano emessi direttamente da ogni stato (in modo diviso) mentre con il recovery fund si sta facendo il secondo passo concreto (dopo la moneta comune) verso una vera unione europea e cioè la creazione di titoli di debito pubblico europei garantiti dall’intera unione e non divisi tra singoli stati nazionali. Ovviamente la mole di debito pubblico dei singoli stati è ancora la parte preponderante, ma questo è un primo inizio verso una gestione differente del debito futuro effettuata centralmente (con tutti i vantaggi che questo comporta di minori tassi di interesse sui mercati e maggiore stabilità dei titoli).

CHI DETIENE IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO

Dati Bankitalia aggiornati a fine 2020 (clicca sul grafico per allargare)

  • Quota detenuta da bankitalia: circa 26% (20% nel 2019, aumento riconducibile agli ingenti acquisti effettuati nell’ambito delle nuove misure di politica monetaria stabilite dal Consiglio direttivo della BCE nel marzo dell’anno scorso per far fronte al blocco economico dovuto alla pandemia)
  • Quota detenuta da investitori esteri: circa 24%
  • Quota detenuta dalle compagnie assicurative (circa 14%), dalle banche (circa 17%), dai privati (circa 5%)
  • Dettagli a pagina 193 della relazione di bankitalia per l’anno 2020 (clicca)

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