Asset finanziari globali con maggior capitalizzazione a fine 2024

La crisi finanziaria globale del 2008 ha avuto un impatto devastante sui mercati e sull’economia globale, segnando una profonda frattura tra le condizioni pre-crisi e quelle successive. Uno degli aspetti più significativi di questo cambiamento riguarda la capitalizzazione degli asset finanziari. Se prima del 2008 la capitalizzazione di mercato era dominata da settori tradizionali come la finanza, l’energia e le telecomunicazioni, oggi assistiamo a una preponderanza di aziende tecnologiche, con una composizione degli asset totalmente diversa. In questo articolo, esploreremo come si è evoluta la capitalizzazione degli asset finanziari nel corso degli ultimi decenni, evidenziando le differenze tra il periodo pre-crisi e la situazione attuale.

Prima del 2008, la capitalizzazione di mercato globale era dominata da settori consolidati come finanza, energia e telecomunicazioni. Le aziende più grandi e influenti del mondo erano principalmente banche, compagnie petrolifere e utilities. Alcuni dei nomi di punta includevano Citigroup e Bank of America nel settore bancario, ExxonMobil e Royal Dutch Shell nel settore energetico,  AT&T e Verizon nel settore delle telecomunicazioni.

In quegli anni la finanza aveva un ruolo predominante, grazie alla crescente innovazione finanziaria e al boom dei derivati, dei mutui subprime e delle cartolarizzazioni. Le banche erano viste come i motori principali dell’economia globale, con una capitalizzazione che raggiungeva livelli mai visti prima. Tuttavia, questa situazione di apparente stabilità stava per crollare con l’esplosione della crisi finanziaria del 2008, un evento che avrebbe rimodellato il panorama economico mondiale.

La capitalizzazione complessiva dei mercati azionari globali nel 2007 si aggirava intorno ai 60 trilioni di dollari, con i settori finanziario ed energetico che detenevano una parte significativa di tale valore. Le banche d’investimento, come Goldman Sachs e Lehman Brothers, erano tra le più grandi, mentre i colossi energetici dominavano le risorse naturali e la produzione di energia a livello globale.

L’esplosione della bolla immobiliare negli Stati Uniti, combinata con la crisi dei mutui subprime e l’implosione di alcune delle maggiori banche d’investimento, ha provocato un crollo senza precedenti delle borse. La capitalizzazione delle banche ha subito una contrazione drammatica. Il fallimento di istituzioni come Lehman Brothers e il salvataggio di altri giganti come l’assicurativo AIG hanno reso evidente la fragilità del sistema finanziario globale.

Nel 2008, la capitalizzazione complessiva dei mercati azionari è scesa a circa 30 trilioni di dollari, con una svalutazione massiccia delle principali istituzioni finanziarie. Non solo le banche hanno perso valore, ma anche i titoli energetici, che dipendevano fortemente da un contesto di mercato stabile, hanno visto una notevole flessione. La crisi ha anche spinto i governi a intervenire con politiche monetarie espansive e piani di salvataggio, con l’intento di rilanciare l’economia globale.

Dopo il 2008, i mercati azionari sono stati influenzati da una serie di fattori, tra cui politiche monetarie ultra-espansive (tassi di interesse bassi, stimoli fiscali), l’espansione dell’industria tecnologica e il cambiamento nelle preferenze degli investitori. Le aziende tecnologiche hanno preso piede come i nuovi “giganti” del mercato, con una capitalizzazione che ha superato quella di settori più tradizionali.

Oggi, i colossi tecnologici dominano non solo i mercati azionari, ma anche i settori dell’energia (attraverso l’elettrificazione dei trasporti e la produzione di energia rinnovabile), della salute (con l’innovazione nelle biotecnologie e nella salute digitale) e dei consumi (con modelli di business basati sull’abbonamento e sull’e-commerce).

Le principali differenze nella capitalizzazione degli asset finanziari tra il periodo pre-crisi e il presente sono evidenti: nel 2008 la finanza e l’energia erano i settori di riferimento mentre oggi la tecnologia è il settore dominante e la capitalizzazione totale dei mercati globali (che ha subito un duro colpo nel 2008) oggi ha recuperato e superato i livelli pre-crisi ad un valore di circa 100 trilioni di dollari.

L’eccezione: L’ORO

L’unico asset che ha continuato la sua ascesa storica (recuperando il crollo del 2012) è l’oro, spinto principalmente da due fattori: la crescente instabilità geopolitica e un massiccio aumento degli acquisti da parte delle banche centrali di tutto il mondo. Questi fattori, interconnessi tra loro, hanno portato l’oro a essere considerato un rifugio sicuro in un contesto di incertezze globali, con il metallo giallo che ha visto un rinnovato interesse da parte di investitori istituzionali, governi e risparmiatori.

Tradizionalmente, l’oro è sempre stato visto come un bene rifugio, capace di mantenere il suo valore in tempi di incertezze economiche o geopolitiche. L’instabilità politica, i conflitti internazionali e le crisi finanziarie hanno sempre spinto gli investitori a cercare protezione in asset che non siano legati a valute o economie specifiche. Negli ultimi anni, una serie di eventi geopolitici (restrizioni per pandemie, guerre, tensioni USA-Cina e tra vari interlocutori globali, ecc) hanno contribuito a intensificare questa domanda di oro.

Se da un lato l’incertezza geopolitica ha aumentato la domanda di oro come bene rifugio, dall’altro la politica monetaria delle banche centrali ha avuto un ruolo cruciale nell’orientare il prezzo del metallo giallo verso l’alto. Le banche centrali di tutto il mondo, preoccupate dall’elevata inflazione e dalle oscillazioni dei tassi di cambio, hanno iniziato ad accumulare oro in quantità sempre maggiori negli ultimi anni.

  1. L’orientamento delle politiche monetarie: Dopo la crisi finanziaria del 2008 e l’adozione delle politiche monetarie espansive, le banche centrali di molte economie sviluppate hanno continuato a mantenere tassi di interesse bassi, incentivando la liquidità e aumentando la massa monetaria globale. In risposta, molte banche centrali emergenti hanno aumentato i loro acquisti di oro per diversificare le loro riserve e proteggersi contro l’inflazione e la svalutazione.
  2. Acquisti da parte delle banche centrali emergenti: Un fenomeno interessante che ha preso piede negli ultimi anni è l’acquisto massivo di oro da parte delle banche centrali di paesi emergenti, in particolare in Asia. La Cina e la Russia sono tra i principali protagonisti di questa tendenza, con la Cina che ha incrementato le sue riserve auree negli ultimi anni in modo costante. La Russia è tra i paesi che, a causa delle sanzioni internazionali, ha accelerato l’accumulo di oro come misura precauzionale contro le difficoltà economiche e la dipendenza dai dollari americani.
  3. L’interesse crescente per l’oro: Secondo i dati del World Gold Council (WGC), nel 2022 le banche centrali hanno acquistato un quantitativo record di oro, che ha raggiunto quasi 1.000 tonnellate, il livello più alto dal 1967. Questo segna un cambiamento significativo rispetto al passato, quando le banche centrali tendevano a ridurre le loro riserve auree in favore di altri asset. L’accelerazione degli acquisti di oro da parte delle banche centrali non solo ha rafforzato il prezzo dell’oro, ma ha anche creato un circolo virtuoso, in cui la domanda istituzionale ha spinto il prezzo sempre più in alto.

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